LibreOffice Roadshow - Padova 2014 - presentazione LibreItaliadi Italo Vignoli

25 novembre 2014 – Tutto il software libero, od open source, è un software commerciale, dove l’aspetto commerciale viene trasferito dal costo della licenza – che è un bene immateriale a cui alcune aziende dato un valore “materiale” per poter sostenere il proprio modello di business basato sull’assenza di valore aggiunto – al costo dei servizi.

Questi ultimi sono altrettanto immateriali, ma molto più tangibili rispetto alla licenza, visto che parliamo di integrazione, migrazione, formazione e assistenza tecnica di secondo e terzo livello, ovvero di attività che aggiungono valore al software e ne rendono la fruizione più agevole da parte dell’utente.

Quando il software libero, od open source, viene rilasciato in due versioni “community” e “commerciale”, quest’ultima è una versione proprietaria mascherata perché è quasi sempre significativamente diversa rispetto a quella “community” e ha un’EULA (End User License Agreement) che non ha nulla da invidiare a quella Microsoft, in quanto ha l’obiettivo di limitare i diritti dell’utente (al contrario delle licenze di software libero).

L’economia del dual licensing, che nasce da questo equivoco di fondo (ovvero, l’esistenza di un software open source più “commerciale” dell’originale, perché supportato dalla stessa azienda che sviluppa la versione “community”), non è mai riuscita a decollare proprio perché si basa su una distorsione del concetto di software libero.

Sarebbe molto meglio, e molto più rispettoso dei principi del software libero, fornire un’unica versione del software, e chiarire che le estensioni e i servizi sono a pagamento, in quanto aggiungono valore al software stesso. Questo, per offrire a tutti i membri della comunità pari opportunità di business, invece che la semplice illusione.

Tra l’altro, l’esperienza di OpenOffice – che aveva la versione “commerciale” Sun, che si chiamava StarOffice – dimostra come la presenza di questa versione non solo non avvantaggia l’azienda, che spesso non riesce a generare un fatturato significativo, ma deprime anche la partecipazione della comunità alla creazione di un ecosistema di supporto professionale.

LibreOffice, che viene rilasciato con un’unica licenza copyleft, è riuscito in quattro anni a sviluppare un ecosistema di dimensioni maggiori rispetto a quello che l’accoppiata StarOffice/OpenOffice era riuscita a creare in dieci anni, senza fare nulla di straordinario ma solo attraverso la scelta di una licenza in grado di proteggere gli sviluppatori dagli eventuali capricci delle aziende, e di strumenti di base per la crescita dello stesso ecosistema.

Sfortunatamente, la maggior parte degli utenti – e in particolare degli utenti aziendali – non ha una cultura del software libero sufficiente, e quindi è preda di equivoci come quello della doppia licenza. In realtà, un software open source con una licenza “commerciale” non è altro che un software proprietario che utilizza la comunità come paravento.

fonte: http://www.cwi.it/software-open-source-commerciale-22547