Da quando nell’estate del 2012 il Governo Monti fece la rivoluzionaria scelta d’intervenire sull’articolo 68 del Codice Amministrazione Digitale, stabilendo che le Pubbliche Amministrazioni (PA) avrebbero dovuto acquisire di preferenza soluzioni di software libero/open source e in riuso, tutti ci siamo chiesti come questa valutazione sarebbe dovuta avvenire. Era chiaro infatti che, solo quando fosse stato impossibile optare per soluzioni Open Source, si sarebbero potute acquisire soluzioni proprietarie rendendo di fatto applicabile il concetto di “open by default“.

InnovazionePA gennaio-febbraio 2014
Il compito dell’Agenzia
I criteri di “impossibilità” alla luce della “valutazione comparativa”, dovevano essere fissati dall’Agenzia per l’Italia Digitale e finalmente, dopo un grande lavoro svolto da un nutrito ed eterogeneo gruppo di esperti, in dicembre viene pubblicata la Circolare 63/2013 che chiarisce, inequivocabilmente, che le soluzioni in software libero (o riuso) debbano essere preferite alle alternative proprietarie.
Il documento è corredato da una cospicua bibliografia di riferimenti a best practices italiane ed estere sull’argomento nonché molti riferimenti a cataloghi di software libero, ad uso degli Enti che potrebbero avere più difficoltà a trovare in autonomia software libero di buona qualità.
Per chi già si sta chiedendo come gestire un plico di 70 pagine in modo agevole, basta sapere che, la parte più rilavane di questo documento è sicuramente la metodologia per l’acquisizione di software. Si trova nella sezione 3 del documento: sono 24 pagine. Il resto del documento consta di parti accessorie e sostanzialmente indipendenti come: approfondimenti giuridici, spiegazioni di contesto, ed oltre 20 pagine di appendici.
Primi in Europa
Uno degli effetti inaspettati che dovrebbe riempirci di orgoglio è che, in rete, la notizia è rimbalzata in tutta Europa e ci ha posto come dei pionieri nella definizione di una metodologia comune per la PA, quindi finalmente possiamo dire che su qualcosa l’Italia è arrivata per prima!
Ora attendiamo che le nuove acquisizioni software facciano aumentare la presenza di software libero nella PA, portando tutti i vantaggi del caso (assenza di lock-in, riduzione dei costi, sovranità tecnologica, etc), favorendo la politica di migrare al software libero – nel breve/medio termine – l’enorme quantità di software proprietario presente oggi nella PA. E’ da considerare inoltre che ad oggi, l’offerta del mondo Open Source non solo è da ritenersi matura e completa ma, in alcuni casi, rappresenta l’eccellenza del proprio segmento applicativo.
Senza alibi di scelta
A questo punto “non ci sono più scuse”, come ha detto Italo Vignoli (membro della commissione), chi ha sempre voluto migrare a soluzioni open ma ha avuto ostacoli di tipo procedurale, ha uno strumento forte per intervenire sulla questione. Chi invece si è rifugiato dietro alla incompletezza o non chiarezza della normativa vigente (ricordiamo che il CAD esiste dal 2005), oggi deve necessariamente affrontare il fatto di analizzare le proposte del mondo Open Source in merito alle esigenze applicative del proprio ente e prendersi l’eventuale responsabilità della scelta di un prodotto proprietario.
Paolo Storti – @PaoloStorti