Oggi si parla di Open Source anche nella Pubblica Amministrazione!
A supporto di questa importante svolta negli usi e costumi della PA ci sono due fattori chiave, primo fra tutti la disponibilità di un nuovo e moderno impianto normativo che, non solo prevede l’uso di tecnologie aperte bensì, lo impone.
Inoltre, l’attuale situazione economica ha giocato un ruolo altrettanto importante; la crescente necessità di ridurre i costi strutturali e la necessità di lavorare con standard aperti, hanno portato finalmente i legislatori a normare e standardizzare il processo di selezione del software da parte della PA.
In base all’ultima versione del CAD esiste l’obbligo di effettuare una valutazione comparativa tecnico-economica tra soluzioni proprietarie e software libero o a codice sorgente aperto e, solo nell’impossibilità – debitamente motivata – ad accedere a soluzioni Open Source o riusabili, è giustificata l’acquisizione di software proprietari.
Finalmente il paradigma che vedeva l’OpenSource come l’antagonista, il rivale e la scelta alternativa è cambiato ed oggi l’OpenSource deve essere la scelta di default per ogni PA.
E’ chiaro che per la PA utilizzare un software libero significa: adempiere alla normativa vigente, fornire al cittadino dei formati aperti e consultabili, risparmiare denaro pubblico, creare e mantenere posti di lavoro e sviluppare l’indotto; ciò consente di rimettere in circolo le risorse investite avvalendosi di professionalità locali di eccellenza, creando così anche un ritorno in tassazione e PIL.
Un’ultima particolare attenzione va posta in sede di valutazione, al punto 4.1.1 dalla Circolare n.63 del 6 dicembre 2013.
Questo significa che, quando siamo di fronte ad un software OpenSource Dual License, la scelta della PA deve ricadere obbligatoriamente sulla versione a codice sorgente aperto mentre la versione commerciale va messa nel calderone dei software proprietari e valutata solo come extrema ratio alla stregua delle altre soluzioni proprietarie.
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